DAVIDE E GOLIA E AMAZON

Black Friday. Amazon. Negozi di vicinato.
Potrebbe essere la storia di Davide e Golia.
Se solo i negozi di vicinato lo capissero.

Si, perché io comprerei molto, molto più volentieri un prodotto in un negozio di vicinato, in cui conosco il titolare e ho fiducia in lui e nella sua garanzia di qualità e professionalità, e sarei anche disposta a spedere qualche euro di più sapendo che con il mio acquisto sosterrei una famiglia del mio quartiere, sempre però a patto che mi possa scegliere un prodotto di qualità, comodamente in divano, pagando con bonifico o carta di credito e ricevendolo direttamente a casa il giorno dopo.
Se così non è, e non sarà, dispiace ma non ci saranno alternative: il consumatore sceglierà sempre la convenienza. E qui si aprirebbe uno spiraglio per chi avesse voglia di guardare. La convenienza può avere molte sfumature: non è solo economica ma anche nel servizio, nell’assistenza, ad esempio. E nella qualità.

I negozi che si lamentano della prepotenza di Amazon e che oggi lamentano la crisi dei consumi e per cui ci stiamo impegnando con il pensiero gentile e un po’ ingenuo a sostenere con gli acquisti di Natale invece che comprare su internet hanno attivato nel frattempo una qualche forma di vendita on line? O hanno anche solo un sito in cui visionare i prodotti? O anche soltanto hanno una pagina Facebook o un profilo social da usare come vetrina? Usano whatsapp o altre forme di contatto con la loro clientela? Hanno accolto le proposte che le associazioni di categoria hanno costruito per sostenerli nella digitalizzazione (so per certo che ce ne sono state)? Hanno fatto qualcosa in questi mesi per cercare nuovi mercati o nuovi clienti esplorando formule di vendita innovative, diverse da quel lamentoso “abbiamo sempre fatto così, dateci i soldi per permetterci di continuare a fare come abbiamo sempre fatto”?
E purtroppo questo non vale solo per i negozi ma anche per tante altre attività, imprese, realtà associative. Che sono rimaste ferme a guardare il loro fatturato svanire, i loro spettacoli venire annullati, i loro ristoranti e bar deserti. Mentre tutto cambia, cosa hanno fatto questi per cambiare?
Tutto questo mentre i più audaci si sono battuti con tutte le loro energie, adeguandosi ai cambiamenti, investendo, ideando soluzioni alternative provvisorie, si faticando tanto, sfinendosi e finendo i risparmi ma mai subendo passivamente la situazione. A questi io darei un premio, altro che ristori. E di esempi e belle storie ce ne sono tanti da riempire pagine e pagine di giornali.

Certo, ci saranno le dovute eccezioni.
Ma continuo a pensare che per molti sia stato più comodo lamentarsi restando in divano. Senza rendersi conto proprio del fatto che stavano in divano loro esattamente come i loro potenziali clienti. E che proprio in divano devono andare a prenderli e non più (o almeno non solo) aspettarli sulla porta del negozio.

Invano ci sbracciamo e sgoliamo noi consulenti di comunicazione, tirando fuori idee come avessimo una infinita borsa di Mery Poppins, costruendo magie su magie.
Quando ci ascoltano (che significa che ci danno fiducia e budget) le cose funzionano. Cazzo se funzionano.

Ed è un gran peccato quando invece si fermano per la paura di cambiare, di esplorare strade nuove, di mettersi in discussione e in gioco. O anche semplicemente perché non vogliono ascoltare i consigli di chi potrebbe aiutarli davvero. Perché come tutte le crisi anche questa può trasformarsi in opportunità.
Una bella fionda. Contro quei giganti che sembrano imbattibili.
Ma bisogna avere il coraggio di lanciare il sasso.

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