Pacifisti nel dna

Tra delle vecchie carte abbandonate nel garage del nonno mio padre ha trovato alcune vecchie lettere. Una di queste apparteneva al mio bisnonno Albino Bellemo Brà. Una lettera di inizio ‘900, scritta in una grafia elegante. Qualche scarabocchio. I segni del tempo. Un italiano colto, che ci ha stupito e che ci ha portato a interrogarci su chi fosse veramente Albino, che studi avesse fatto per poter scrivere in modo così raffinato. Forse la sua lettera dal fronte venne scritta da qualche altro soldato. Chissà. Ma quello che stupisce ancor più della grafia e dell’uso della lingua è il contenuto della lettera, i valori che esprime, e quella frase finale in cui, in modo così lucido e del tutto antesignano per l’epoca, Albino esprime alla sorella Olga il suo innato pacifismo, la sua profonda avversione “per la guerra, per tutte le guerre”.

Questo frammento della storia del mio bisnonno è spuntato fuori proprio a pochi giorni dalla stampa del mio libro “Sarajevo, scuola di Pace”. Quel messaggio di pace espresso dal bisnonno dal fronte della Prima Guerra Mondiale ( a Bussolengo!) riassume in modo straordinario tutto il senso del libro. Il senso del progetto “Mir Sutra” che come Acli di Venezia vogliamo proporre ai ragazzi delle scuole superiori per accompagnarli nella visita di Sarajevo e nell’incontro con un capitolo doloroso della storia del ‘900.

Albino dichiara di aver scelto il ruolo di portaferiti per poter incarnare la sua ferma volontà di rifiuto della guerra. E’ un obiettore di coscienza ante litteram. Sceglie di stare dalla parte opposta della guerra, dalla parte della vita, fosse anche quella dei soldati austriaci, gli avversari, i nemici. Più tardi, tornando a casa nella sua città natale, Chioggia, sceglierà di contrapporsi ai fascisti e, da socialista, verrà picchiato pubblicamente e costretto a ingoiare olio di ricino. Dovrà fuggire con tutta la famiglia lontano, sulle montagne.

Nulla avviene per caso. A volte penso che il dna sia molto più potente di quello che pensiamo. Ed è anche questo stesso pensiero una grande speranza. Perchè se questo mio bisnonno nel contesto del primo conflitto mondiale ha elaborato questo pensiero allora forse in qualche modo, attraverso il dna, l’ha trasmesso fino a me, che sento profondamente mia questa sua scelta e pure il suo coraggio di contrapporsi pubblicamente al fascismo. Tutto quello che ho sempre pensato e scritto va esattamente in quella stessa sua direzione di pensiero. Allora ciascuno di noi, nelle sue scelte personali, può avere un’influenza molto più potente di quello che crediamo anche per le generazioni future. Perchè di ogni parola, di ogni gesto resta un seme.

E allora il seme della pace è qualcosa che può davvero portare frutti sempre, anche a distanza di decenni, secoli. Quando è autentico. Quando si insinua in profondità. Sottopelle. Nel dna.

Abbiamo scelto di inserire questo documento all’interno del libro, alla fine del viaggio, insieme ad una poesia di una ragazzina di Sarajevo che consegna l’educazione alla pace alla sua generazione.

la lettera

Bussolengo 2 giugno 1916

Amatissima mia sorella Olga

In una mia cartolina che avrai ricevuta ti dicevo che avevo fatto il corso dell’infermiere-portaferiti e ti promettevo di riparlarti in proposito per farti sapere da quali considerazioni sono stato indotto ad accettare di iscrivermi in detta specialità quando mi fu proposto. Prima di tutto ti dirò che mi sono persuaso che ci sia tanto da guadagnare in rapporto con la vita materiale del soldato combattente inquantochè i plotoni, le compagnie, i battaglioni, o quello che siano, devono proseguire, al comando degli ufficiali sotto il fuoco del nemico, devono sottostare ai gravosi servizi di esploratori vedette, sentinelle, ecc all’orribile vita di trincea e tutto quanto insomma vi sia di gravoso e pericoloso in guerra.

I portaferiti, seguendo pure le compagnie di cui fanno parte nel cammino periglioso sono dietro a tutti, hanno l’ordine perentorio di scovare i ripari e rifugiarsi nei momenti difficili, non quanto per la loro vita, quanto per la loro opera, di immensa utilità per coloro che fanno calcoli numerici in fatto di uomini, perché un portaferiti può salvare uno, cinque, venti uomini salvabili mentre che se si fa ammazzare prima degli altri, oltre che il portaferiti si perde anche quelli che avrebbe potuto salvare. Con questo poi non mi crederai tanto ingenuo di escluderti il pericolo, vuol dire che c’è con minore probabilità.

Quello che mi spinse quasi con gioia fu un ben alto sentimento di umanità. Nella mia incontrollabile avversione alla guerra, a tutte le guerre, in questo momento di fanatico barbarismo moderno, mi si è offerta l’occasione di conciliare l’esigenza del momento con la mia coscienza.Ed è la cosa che maggiormente può confortarmi in questo tragico momento della vita, ed è la considerazione che invece di contribuire con la mia opera a privare degli innocenti bambini del loro padre  (siano pure austriaci) invece che partecipare alla barbara distruzione porterò la mia opera benefica laddove udirò dei gemiti, delle invocazioni, contribuendo col rischio della mia vita a lenire i dolori a quelli infelici, e forse a ritornare il padre a tanti innocenti bambini, il marito alla sposa, il figlio alla madre.

Albino Bellemo Brà (1885-1944)